Venerdì. I dintorni: Conegliano

Il giorno di mercato è l’ideale per visitare la vicina Conegliano, perla del Veneto adagiata alle pendici delle sue colline, nota per l’arte del duomo, il vino prosecco, l’industria dell’inox, la pallavolo femminile e punto di riferimento del comprensorio per ospedale, forze dell’ordine, stazione ferroviaria e scuole superiori.

Per visitarla a modo mio torniamo a quel giorno di febbraio in cui dopo aver fatto l’amore con Stella decisi di lasciarla per non doverla uccidere, e dalla depressione cedetti alla consolazione di una dose di ero. Quella sera ero pertanto seduto su una panchina della stazione di Conegliano aspettando il mio pusher bengalese. Mi fa sempre penare, costui, facendomi aspettare un'eternità quelli che secondo lui sono "cinque minuti". Non sono tra coloro che ingrati si lamentano degli immigrati spacciatori, salvo che per il loro concetto del tempo, in base al quale un nostro minuto europeo corrisponde a una loro mezza giornata con molte pause caffè e pedalatine alla minima velocità ammessa dalla fisica per tenersi in equilibrio sulla bici. Almeno sulle unità di misura dovrebbero cercare di integrarsi accettando convenzioni universali, ma non vorrei essere accusato di voler esportare in altre culture l'orologeria svizzera. Finalmente è arrivato ed è avvenuto lo scambio di polvere contro banconota. E fin qui tutto normale.

Contemporaneamente entrava in stazione l'ultimo intercity da Roma, che tra gli altri scaricava davanti a me sul primo binario un prete molto interessante. Giovane e di bell'aspetto, in clergy e trolley, si capiva subito dall'abbigliamento elegante come il bagaglio che non era un pretonzolo di campagna di ritorno da una gita in Vaticano, bensì un prete proveniente dalla curia, un presule presumibilmente quivi giunto per prendere parte a un qualche convegno di quelli che si fanno nelle cittadine democristiane di provincia contro l'eutanasia o temi etici consimili. Insomma un moderno monsignore tecnologico che ha estratto dal taschino un costoso smartphone per chiamare i suoi corrispondenti locali, avvisando che era arrivato. Intanto mi sono brevemente infilato nei cessi della stazione a sniffare metà dei miei acquisti. Uscitone abbastanza soddisfatto dalla qualità della sostanza, e dotato di arma da fuoco ben determinato a fargli la pelle, l'ho visto dirigersi verso un adiacente complesso edilizio dove c'è un piccolo auditorium che effettivamente ospita spesso convegni di quel tipo, a conferma della mia ipotesi. Le persone con cui lo avevo sentito parlare al telefono lo avevano istruito su come poteva già avviarsi a raggiungerle mentre gli andavano incontro. Mi apprestavo a seguirlo discretamente, con lo spirito ben disposto a ciucciarmi tutte le prolusioni degli oratori prima di poter coronare la serata con un gratificante preticidio, quando sbuca da dietro un angolo un negrone alto due metri:

- Mio amigo dice che tu dare me droga che lui dato tu

- Tu grosso africano no amigo di piccolo asiatico e droga mia. Tu ti attaccare a tuo grosso pisellone e vaffangulo

- Tu dare me droga oppure fare io tuo gulo con mio grosso pisellone

- Ok, ma qui telecamere, noi andare lì dietro

Lì dietro ho estratto l'arma e gli ho esploso una spalla, la forza del colpo proiettando un quintale di nigeriano contro una colonna di cemento, poi gli ho messo la canna in bocca:

- Droga ormai essere dentro me. Volere tu altro piombo dentro te? Volere tu ancora rompere palle?

Con gli occhi sbarrati ha scosso la testa per significare che ciò non corrispondeva alla sua volontà.

- Dove tuo cellulare? Veloce!

- Ecco tieni, mio cellulare adesso tuo, ma no spara più!

- Tu fare uno uno otto, veloce!

Poi dall'incazzatura provocatami dal dover rinunciare al preticidio gli ho esploso anche un ginocchio e mi sono allontanato rapido ma senza correre, nel mentre che aggiravo le telecamere realizzando di avere fatto con quelle due esplosioni in pieno centro un gran bel chiasso, prolungato dalle urla di dolore del malcapitato al 118. Conegliano è un paesone dove gli sbirri sarebbero arrivati in un minuto europeo. Fortuna vuole che a meno di duecento metri abita Orietta Chantal, una mia amica transessuale moldava, e che a quell'ora fosse ancora in casa, prima di andare a battere sulla statale 13 pontebbana. Dopo averla omaggiata dell'altra metà dei miei acquisti, da ospite beneducato che non si presenta a mani vuote, le ho spiegato il motivo di tanto trambusto di spari e sirene, e col suo aiuto organizzato un piano per cambiare aria finché non si fossero calmate le acque. Perciò dopo essermi rasato viso e gambe, lei ha speso il resto della notte a truccarmi e travestirmi con la perizia della sua esperienza, trasformandomi in una strafigona nonostante io abbia insistito che non avrei dovuto attirare attenzione.

Alle 5 del mattino lei è uscita per prima in perlustrazione e in stazione mi ha comprato in contanti alla macchinetta automatica un biglietto per Roma e uno per Milano, poi ha riacceso il mio cellulare e lo ha fatto scivolare in tasca a un ignaro viaggiatore diretto a Est. Infine è tornata a casa a portarmi i biglietti e dirmi addio, non senza pretendere un doveroso grazie per il suo favoreggiamento, nella forma di una battaglia di cazzi. Ho vinto io, in quanto non ero davvero nello stato d'animo migliore per una degna erezione, mentre lei era tutta contenta di avere ottenuto ciò che mi chiedeva da tanto tempo. Per evitare l'ingresso principale, con un giro largo ho preso la stazione dal lato opposto e sono arrivata al binario due scavalcando il cancelletto riservato alla Polfer, che però prende servizio alle 7. Invece poco prima c'è l'intercity per Roma, e su quello sono zompata all'ultimo momento. Il treno parte e tiro il fiato, quando mi si siede davanti uno di quei tipi come me che percorrono tutte le carrozze per vedere se c'è una bella figa da importunare. E chi è 'sto tipo? Indovinato: il prete della sera prima... Eh beh, ma sant'iddio, benedetto figliolo, allora le rogne te le vai proprio a cercare!

Si può facilmente immaginare cosa sia successo dopo, ma i lettori esigono dettagli. Per prima cosa ho dovuto attendere con ansia che passasse il controllore. Di solito viaggio senza biglietto e cerco di evitare il controllore, ma stavolta non potevo rischiare che nel multarmi mi chiedesse un documento d'identità che avrei dovuto negargli e di conseguenza trovarmi recapitata alla Polfer nel frattempo entrata in servizio nella stazione successiva. Questa volta non rischio una semplice multa, bensì una imputazione per lesioni gravi e magari tentato omicidio. Con mio grande sollievo una controllora arriva a punzonarmi il biglietto.

- Ah, anche lei va a Roma, signorina?

Mi approccia il monsignore nel modo più banale e deludente. Signorina 'sto cazzo, sarei tentata di rispondergli indicandomelo. Ma ammantata di profumo seducente e col pomo d'adamo celato da una sciarpa di Orietta, e pigiandogli sul pube la punta di una scarpa da troia, mi gli si avvicino sussurrandogli all'orecchio che andrò io in bagno per prima e lascerò la porta aperta, come se invece di un cesso dell'intercity si trattasse di una camera d'albergo di Las Vegas. Funziona: dopo un minuto europeo il monsignore irrompe nel cesso tutto arrapato. Fingendomi vogliosa in modo assatanato lo spoglio degli abiti talari che ripongo in modo che non si macchino di sangue, dopodiché denudatolo posso finalmente procedere a tagliargli la gola.

Oh, eccheccazzo, finalmente gli ho fatto la pelle a 'sto scarafaggio, sia pure con una decina di ore di ritardo rispetto al previsto. Torno ai nostri posti, mi impossesso del suo trolley, scendo appena in tempo a Treviso dove le linee si diramano: il treno che trasporta il cadaverizio monsignore nel cesso lo recapiterà via Mestre-Padova fino al capolinea vaticanizio, e tra pochi minuti  un altro intercity mi porterà a Milano via Vicenza. E' una goduria, questa mia Val Padana, non appena trovo rifugio in Lombardia. Lanciato a quasi 200 all'ora in campagna posso scorgere nei campi gli immigrati picconarsi tra loro: la nuova politica migratoria del governatore Maroni incoraggia le varie etnie a picconarsi tra di loro, a queste fornendo i necessari picconi a spese del contribuente lombardo, beninteso senza distinzioni razziali.

Esamino il contenuto di tasche e bagaglio del cattolico di meno. Apprendo dal suo passaporto vaticano che d'ora in avanti mi chiamo monsignor Marcappato de’ Mecojoni-Tiratinsù. Un tipico cognome aristocratico brianzolo, quello dei Mecojoni-Tiratinsù, il ramo femminile della quale nobile famiglia è oggetto di studio della comunità scientifica per il caratteristico seno rugoso e privo di capezzoli. Il bagaglio offre di meglio: una quantità impressionante di dollari australiani. Migliaia, forse milioni. Non faccio in tempo a contarli che il treno entra in Centrale. Li conterò dopo, adesso mi serve una SIM da mettere dentro allo smartphone del monsignore, del quale ora indosso gli abiti e ovviamente mi sono struccata. Questo non è difficile: basta appostarsi nei pressi della più vicina scuola media inferiore e approcciare un ragazzino a caso. Il ragazzino, anche se piccolo, è già abbastanza sveglio e ben istruito dai genitori. Come vede un prete, spontaneamente il ragazzino consegna il cellulare implorando: "eccole anche il Nintendo, padre, ma non mi stupri, la prego". Ovviamente non li stupro, neppure io arrivo a tanto, però il Nintendo me lo tengo. Adesso che nello smatphone del fu-prete ho inserito una nuova SIM che per qualche ora nessuno si preoccuperà di rintracciare, posso placare l'astinenza dal web per collegarmi a leggere cose inaudite:

Ciao Michele, sono Mauro.
Stamattina presto a Udine una task force di sbirri pesantemente armati mi ha fermato in treno per avermi rinvenuto in tasca il tuo cellulare. Non ho idea di come ci sia finito dentro. Dopo ore di interrogatorio ho chiarito l'equivoco, sostenendo di non conoscerti, nel che c'è del vero: davvero preferirei non averti mai conosciuto. Ti spedisco il cellulare all'indirizzo di Orietta.
Un sentito vaffanculo, tuo Mauro

Ecco finalmente spiegato come Orietta fosse entrata nel III Trattato di Pace: potendo ricattarmi con la brutta faccenda del negrone bucherellato, in cambio del silenzio pretese sesso. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: Aurora fu entusiasta di conoscere una nuova partner di battaglia di cazzi e presto presero ad avere rapporti quasi esclusivamente tra di loro, lasciandomi in pace a manovrare le altre tre.

Ora però non dimentichiamo che il capitolo è dedicato a Conegliano, e a visitarla ci porta proprio Orietta, che la conosce meglio di me. Da un quarto di secolo Conegliano accoglie il visitatore in pieno centro, lungo la ferrovia Venezia-Vienna, con una sconcezza di ammasso di detriti, capannoni semi-demoliti e terreni cementificati non ancora bonificati su una superficie equivalente a una ventina di campi da calcio. Orietta spiega che nel passaggio di mano di un locale produttore di elettrodomestici l’impianto fu dismesso e da allora non si sa quante amministrazioni si sono avvicendate in interventi cosmetici per nascondere l’obbrobrio alla vista, fino al punto di dipingerlo di verde col photoshop nella gigantografia di una foto aerea che accoglie il turista fuori dalla stazione, per far credere ai gonzi che sia un parco, quasi più grande del centro stesso.

Tornati in pochi passi in stazione, da qui imbocchiamo la “via” Vespucci, arteria stradale ritenuta strategica per alleviare il traffico automobilistico del centro, che però non esiste perché dal secolo scorso tre o quattro amministrazioni non sono state capaci di completarne gli ultimi cento metri. Alla fine della presunta via Vespucci, all’incrocio con via Rosselli, un capolavoro di urbanistica surrealista: le strisce pedonali conducono direttamente a spiaccicarsi contro un muro di cemento armato, emblematico di come in tema barriere architettoniche a Conegliano siano ancora più bravi di noi a Bocca di Strada.

Torniamo ancora in stazione e prendiamo il treno per la vicina Sacile, 15 km in dieci minuti, dove arriviamo la notte del 7-8 marzo 2010, festa della donna. Nella sala d’aspetto un’addetta alle pulizie rinviene il corpo senza vita della 38enne Francesca Curtolo, originaria di Santa Lucia di Piave, residente nella vicina Vazzola ma di fatto senza fissa dimora, una clochard morta per “arresto cardiaco”. Molti avevano visto spesso Francesca scarpinare in 2-3 ore i dieci chilometri sulla strada provinciale da Vazzola alla stazione di Conegliano, dalla quale partiva per trovare rifugio in quella di Sacile. Per questo alcuni automobilisti imbecilli la deridevano col clacson.

In quella che talvolta può essere anche una scelta di vita, mi sentivo qualificato a sopravvivere da barbone lungo la stessa linea ferroviaria Venezia-Udine-Trieste, anche perché già ferrato in materia, provenendo da analoga esperienza di barbone all’estero. Per viaggiare gratis in treno senza multe occorre prima di tutto opportunamente “perdere” denaro e documenti e poi, non appena partito il convoglio, correre ad autodenunciarsi al controllore, il quale non potrà fare altro che sbatterti fuori alla fermata successiva, dalla quale ripartire col prossimo intercity. Bisogna infatti avere l’accortezza di scegliere treni veloci che fermino solo nelle stazioni principali. Altrimenti partendo, per esempio, da Milano verso Est, da un treno locale si rischia di scendere a Chiari alle 10 del mattino e dover aspettare mezzogiorno il successivo locale per Brescia. Giunti a tappe a Vicenza si eviterà la tentazione di tagliare direttamente per Treviso, altrimenti si può rimanere incastrati per ore nel nulla di Cittadella. Insomma un po’ per volta ci si ritrova espulsi alle 00.44 a Conegliano, e non ci sono più altri treni: bisogna quindi “dormire” qui.

Dormire si fa per dire, perché la sala d’aspetto della stazione constava all’epoca in tre panche occupate in modo permanente dai residenti abituali, che ne erano gelosissimi. Oggigiorno il problema non si pone neppure perché come a Pordenone e altrove le panche sono state sostituite con seggiolini aeroportuali anti-stravaccamento. E così ci si sposta ogni notte da un giardino pubblico dal quale si verrà cacciati dai carabinieri in un altro giardino pubblico dal quale si verrà cacciati dalla polizia a un terzo giardino pubblico convenientemente situato sotto i vigili urbani per loro maggiore comodità nel cacciarti via e tornare infine in stazione per essere cacciati dal metronotte, ultimo nella gerarchia dei cacciatori di vagabondi, nella quale categoria non rientra la Polfer solo perché prende servizio alle 7 del mattino.

Mangiare è meno problematico: puntuale alle 11 c’è ogni giorno la mensa gratuita dei frati dietro l’ospedale e per accedervi basta registrarsi presso la Caritas (ogni sabato mattina nell’edificio della ex pretura). Ed è appunto l’ospedale, nei suoi due complessi comprendendo la clinica De Gironcoli, che offre i soli servizi igienici, in una città di 35mila abitanti senza gabinetti pubblici, a quanti dovessero inspiegabilmente incorrere nella necessità fisiologica di evacuare i resti del cibo ottimo e abbondante (senza ironia) dei frati e i loro bravi volontari, che in cambio di una preghiera la domenica offrono anche un bicchiere di vino. Il vagabondo cosmopolita, che non è xenofobo ma è pur sempre alcolista, siederà a un tavolo di extracomunitari islamici astemi un po’ emarginati dai concorrenti barboni autoctoni per offrire loro parte del suo lauto pranzo in cambio delle loro ombre. Bere è un problema relativo: bisogna mettere da parte l’orgoglio ed elemosinare, senza la pretesa di chiedere un euro bensì solo pochi centesimi, e in una mezz’oretta davanti a un supermercato si mette insieme appunto un euro per un cartone di vino o due lattine di birra.

L’altro bisogno tossico primario, fumare, invece è gratis (purché ci si accontenti di tabacco) grazie al divieto di fumo nei locali pubblici: ciò ha fatto sì che nella ventina di bar del centro gli avventori fumatori siano costretti a farlo seduti ai tavolini all’aperto, tavolini sui quali è esposta la marca di sigarette che ne qualifica lo status economico superiore e rende loro arduo dirti “non fumo” quando gliela scrocchi, per cui in una sera del fine settimana si riempie un pacchetto da venti in meno di un’ora. Attenzione però a memorizzare bene la vittima, che nel frattempo potrebbe spostarsi da un bar all’altro: il doppio scroccaggio comporta triplo bestemmiaggio. Insomma abbiamo imparato come viaggiare, mangiare, bere e fumare a costo zero. Questa sì che è una Guida turistica. E aggiungo, per il vagabondo acculturato, internet gratis in biblioteca, dove stare d’inverno al caldo almeno di giorno. Tutte cose delle quali l’organismo umano può fare a meno per lunghi periodi, ma non il dormire: la privazione del sonno, per mancanza di luoghi o per timore di essere derubati dai colleghi dei propri pochi averi, a lungo andare è causa di arresto cardiaco. Rip Francesca Curtolo.

Il 3 gennaio 2014 viene rinvenuto in “via” Vespucci il cadavere di Roberto Rotelli, senzatetto 52enne originario del Lazio ma da tempo a Conegliano, morto di freddo da 24-48 ore. Sempre il 3 gennaio ma del 2005 presso l’area ex Zanussi di cui sopra un altro senzatetto, il 45enne Renato Michieletto di Farra di Soligo; e sempre in zona ex Zanussi il 5 agosto 2013 il corpo mummificato da un paio d’anni di Ernest D’Agostin, quarantenne di Cison di Valmarino. Davvero troppi cadaveri di senzatetto in un distretto di soli 120-130mila abitanti, non pochi dei quali pieni di tanti di quei schei da far paura, a vederne i macchinoni, in un posto senza cessi pubblici ma con una banca ogni 800 adulti e uno studio di commercialisti ogni 400.