Giovedì. La criminalità politica

Dai sobborghi lussureggianti di verde delle città irlandesi fino ai più spennacchiati appennini, insomma in quasi tutto l'emisfero settentrionale, con il bel tempo arriva la stagione dei fetentissimi rasaerba, di solito operati da un energumeno che traumatizza l'udito generalmente di domenica, l'unico giorno in cui si potrebbe poltrire a letto ascoltando il cinguettio degli uccelletti, coccolando il/la partner e sognando nel dormiveglia come sarà bello consultare il giornale e la mail col sottofondo di ottima musica a basso volume. Invece quell'energumeno del tuo vicino di casa si è svegliato iniettandosi una pera di Red Bull, tutto eccitato all'idea che finalmente è domenica e può precipitarsi sul suo dannatissimo rasaerba. Non solo, ma siccome adesso gli è finalmente cresciuta la siepe, proverà il suo nuovissimo quanto porchissimo decespugliatore. Infatti nell'ultimo mezzo secolo gli scienziati hanno portato l'uomo nello spazio con vettori meno rumorosi di un rasaerba, ma ben lungi dal risolvere il problema del rasaerba lo hanno aggravato fornendo al fratello / cugino / zio / amico / altro vicino dell'energumeno anche il merdosissimo decespugliatore per raddoppiare il chiasso.

Ciò premesso, oggi invece è giovedì e siamo ai giardini pubblici di Bocca di Strada, un’area relativamente piccola di circa cento metri per 200, popolare luogo di svago e ritrovo per indigeni e non, di fatto l’unica alternativa all’oratorio e la decina di osterie. Pomposamente definito “Parco” Bolda, ospita tanti begli alberi, giochi per bambini, i pipistrelli antizanzare, il cippo in memoria del medico Francesco Russo (per cui avrebbe più senso chiamarlo Parco Russo casomai) e la sede degli Amici del Parco Bolda, ovvero gli individui che se ne occupano della manutenzione e della organizzazione di occasionali eventi sociali. Questa meritoria associazione è stata oggetto in anni recenti di una campagna di odio sfociata in una catena di omicidi che hanno avuto come scena del crimine il parco stesso. Il primo fu quello che suscitò maggiore scalpore. A memoria d’uomo, mai in città si era verificato un fatto tanto efferato. Il 27 luglio 2008 alle ore 14 il giardiniere Alvise Tonòn de’ Marèn, 47 anni, viene colpito e ucciso da un singolo proiettile di un fucile di precisione a puntamento laser mentre scorazza nei prati del parco su un chiassosissimo rasaerba a quattro ruote che, fuori controllo, vaga sbandando fino a investire e affettare a morte una bambina di tre anni sotto gli occhi della sorella maggiore cui era stata affidata e che si suiciderà per il senso di colpa lasciando i genitori senza prole. Superato lo choc, l’amministrazione comunale assume un nuovo giardiniere, Alvise Tonòn de’ Saràn, 34 anni, che alle 14 del 14 giugno 2009 salta per aria sul dannato rasaerba che gli esplode sotto il culo e l’incendio conseguente distrugge il capanno di legno degli Amici del Parco Bolda. A questo punto il comune assume come stagista giardiniere un giovane foresto in servizio civile (se lo fanno fuori ci è costato meno), Alvise Tonòn de’ Portobuffolèt, che viene puntualmente decapitato con una motosega alle 14 del 13 apile 2010 in circostanze mai chiarite. I carabinieri naturalmente indagano, e giungono alla conclusione che qualcuno, forse più d’uno, per qualche strana ragione ce l’ha coi giardinieri del Parco Bolda di Bocca di Strada.

Il primo agosto 2011 avviene un episodio increscioso. Un piccolo elicottero sbucato improvvisamente dal greto del Piave attacca col napalm il capanno ove gli Amici custodiscono il fottuto rasaerba, ma colpisce invece l’adiacente palco delle autorità radunate per benedire una gara ciclo-podistica, azzerando per incenerimento l’intera giunta comunale. Il nuovo giardiniere Alvise Tonòn de’ Tonàn, 87 anni, sopravvivrà almeno fino all’anno successivo, e oltre, giacché anche nel 2012 il tentativo di fargli la pelle risulterà in un fiasco. L’opportunità si presentava propizia in occasione della GmGm – Giornata mondiale del Giardiniere municipale -, un evento itinerante che per quanto riguardava il comprensorio di una dozzina di comuni qui attorno quell’anno si sarebbe svolto al Parco Bolda, con la partecipazione di giardinieri che si sarebbero esibiti nelle loro spensierate scorribande in rasaerba ed epiche disfide di reciproco decespugliamento anale. Per qualche istante durante i quali il tempo sembrò paralizzarsi, un’astronave aliena grande quanto il parco vi si posizionò poche decine di metri sopra, sciolse allo stato liquido tutti i giardinieri e ne dematerializzò i rasaerba nella bolla spazio-temporale in cui la nave stessa si volatilizzò.

Ma quel giorno Alvise Tonòn de’ Tonàn si trovava a Roma, Villa Borghese, in rappresentanza di Bocca di Strada al raduno GmGm nazionale, e sopravvisse ancora. Dopo la visita degli alieni il Parco Bolda è rimasto infertile per tre anni prima di rifiorire, ma ciò nonostante Tonòn de’ Tonàn, ormai novantenne, da sempre sordo e rincitrullito proprio dal non avere mai usato le cuffie, e adesso anche un po’ radioattivo, ha continuato a insistere con lo stramaledetto rasaerba giusto per il gusto di andarci a spasso. Poche settimane fa è stato ritrovato crocifisso nel punto più centrale del parco, in un biglietto poche righe di addio ai suoi cari. Difficile capire come abbia potuto inchiodarsi al legno la seconda mano, e infatti i carabinieri definiscono il fatto “inspiegabile” nel rapporto in cui il caso viene archiviato come suicidio dal colonnello De Stefano.

Tredici anni prima l’allora capitano dei carabinieri De Stefano era un quarantenne asciutto che si teneva in forma amando la natura. Acuto osservatore della realtà sociale del territorio, con un po’ più d’ambizione avrebbe potuto diventare comandante della legione di Padova, ma si trovava meglio nella tranquilla cittadina di provincia, dove sapeva risolvere col buon senso molte dispute di recinzione o di campanile che avrebbero altrimenti fatto perdere tempo al pretore De Rigo, la quale se ne dimostrava grata facendo sempre la spesa nel negozio di alimentari gestito dalla moglie del capitano. Proveniente da una famiglia che serviva l’Arma da due secoli, il comandante dei carabinieri di Conegliano si era però adeguato ai tempi con uno spirito liberale che non mancava mai di lasciare perplessi nella bigotta cittadina. De Stefano aveva istruito i suoi uomini a non perdere tempo con gli innocui fumatori di spinelli per concentrarsi invece sulla gente che andava in giro pericolosamente armata. Mai si erano visti prima, infatti, cacciatori ammanettati e portati in cellulare direttamente in carcere per essere stati colti in flagranza di reato con delle specie protette nel carniere. Né si era mai vista così tanta gente di tutte le età oziare sulla gradinata degli Alpini che conduceva nella centrale piazza Cima, fumando tranquillamente cannabis senza essere fermata e condotta a far perdere tempo al pretore De Rigo, la quale se ne dimostrava grata facendo sempre la spesa nel negozio di alimentari gestito dalla moglie del capitano.

Toc toc. Il brigadiere Polesèl fece capolino nell’ufficio sobriamente arredato del capitano, che se ne stava spaparanzato in poltrona, sorseggiando un digestivo, intento a godere la siesta e la vista di un magnifico albero dalla finestra aperta su un soleggiato ma fresco pomeriggio settembrino senza crimini.

- Capità, ce sta er su’ amico infesticatore vibrato, Granzutos

- Chi? Ah, l’investigatore privato Tonòn de’ Granzottis! Fallo passare, fallo passare! - sorrise De Stefano pregustando il supplemento di buonumore che gli avrebbe portato il vecchio amico, e aggiunse prontamente - Polesèl, dimmi, abbiamo mica sequestrato della cannabis di recente?

- Capità, avete dato voi dispusiziuni di nun seguestrare ‘a canna... ‘a canna bis, como dite voi

- Vabbè, ma non ne teniamo una piccola riserva per gli ospiti? - si adombrò De Stefano irrigidendosi sulla sedia in un atteggiamento minacciosamente marziale.

- Capità, ma pe’ voi zempre! - sorrise Polesèl da un’orecchio all’altro, felice di poter rendere un servigio all’ufficiale, e scomparve negli alloggi a rintracciare un partita di erba che era la fine del mondo. In quel momento, con un fruscìo di mantello degno di un supereroe, si stagliò nella cornice della porta la figura elegante e imponente di Bob Tonòn de’ Granzottis, la tesa del cappello Borsalino ad attenuarne l’intensità dello sguardo e le braccia già generosamente protese verso l’abbraccio del compagno di tante avventure, di tante indagini dai metodi talvolta poco ortodossi per non far perdere tempo al pretore De Rigo, la quale se ne dimostrava grata facendo sempre la spesa nel negozio di alimentari gestito dalla moglie del capitano.

Bob Tonòn de’ Granzottis era un aitante giovanotto il cui titolo “PI” che portava con orgoglio non stava a significare “Private Investigator” come il Magnum o altri detective televisivi, ma più semplicemente “Perito Industriale”. Impegnato però a dividere il suo tempo tra il paracadutismo e l’epistemologia, di perizie Tonòn de’ Granzottis ne aveva fatte ben poche in vita sua, e quando ne aveva bisogno una, come quel giorno, la chiedeva per favore al nucleo scientifico di De Stefano, che stavolta era veramente meravigliato.

- Bob, che cosa ti ha indotto a riaprire l’indagine dopo sette anni?

- Un terribile sospetto. Una folgorazione totalmente inaspettata, che non riesco a scacciare dalla mente finché non l’avrò appurata, anche se preferirei di no

- In pratica hai solo bisogno di sapere dal laboratorio se le impronte digitali su questo bicchiere corrispondono a quelle rinvenute sulle bombe inesplose. Ma se Unabomber avesse usato dei guanti, come è probabile, nel confezionarle?

- Allora fai fare il DNA. Ci dovranno pur essere tracce di saliva, sul bordo del bicchiere, forse anche una piccolissima pellicina del labbro screpolato. E poi qui, vedi dove è appiccicoso, una striscia di cappero quando ha ripreso il bicchiere dopo essersi messo le dita nel naso

- Va bene, ma se non c’è DNA sulle bombe inesplose, come lo confrontiamo? - De Stefano giocava all’avvocato del diavolo. Avrebbe certamente aiutato Tonòn de’ Granzottis, ma cercava di capire di chi sospettasse e perché non volesse confidarglielo.

- Dobbiamo provare, dobbiamo assolutamente dissipare ogni dubbio

- La richiesta di riesame dei reperti insospettirà il magistrato - insistette sulla stessa linea il capitano, blandamente infastidito dal non venire messo a parte di quanto frullava nella testa dell’amico.

- Andiamo, sappiamo bene entrambi che puoi usare qualche scorciatoia - sorrise Tonòn de’ Granzottis maliziosamente - inutile far perdere tempo al pretore De Rigo, la quale se ne dimostrerà grata facendo sempre la spesa...

- Va bene, va bene, ho capito - lo interruppe bruscamente De Stefano abbandonando lo spinellone ad estinguersi nel portacenere con un gesto rassegnato che rappresentava l’averla data vinta a Tonòn de’ Granzottis senza essere riuscito a tirargli fuori niente in cambio, e convocò Polesèl per fargli portare il bicchiere in laboratorio.

Da circa dieci anni anni ormai il cosiddetto “Unabomber”, il misteriosissimo micro-dinamitardo che cela i suoi dispositivi esplosivi nelle confezioni apparentemente innocue dei prodotti di largo consumo in vendita nei supermercati, faceva impazzire gli inquirenti che non riuscivano a dargli un nome e catturarlo. Neppure la sofisticatissima mente del criminologo numero uno era riuscita a venire a capo del caso, l’unico che Bob Tonòn de’ Granzottis non avesse ancora risolto e che perciò lo tormentava tanto. C’era stato un tempo, dopo il decimo attentato, in cui Tonòn de’ Granzottis credeva di avercela fatta. Tutto sembrava quadrare, o per meglio dire tutto sembrava ruotare attorno ad un individuo fortemente indiziato, al quale Tonòn de’ Granzottis era risalito studiando minuziosamente i dettagli degli attentati. I primi due ebbero luogo nel 1993 ad Aquileia e Latisana, lungo la stessa autostrada che passava da Portogruaro e sul cui monotono tracciato rettilineo la polizia stradale aveva fatto diverse multe per eccesso di velocità ad un automobilista alla guida di una potente Volvo. Gli avvistamenti della station wagon lanciata sulla corsia di sorpasso, e date e orari delle relative multe, coincidevano con gli attentati. Qualche infrazione al codice della strada non bastava però per incastrare il portogruarese Armando Neòn, appena rientrato dalla Svezia dopo avervi trascorso vent’anni a lavorare nell’industria pornografica, ma bastò ad attirargli forti sospetti e a farlo mettere sotto stretta e discreta sorveglianza. Neòn si dimostrò subito un tipo intraprendente, deciso a darsi alla politica nelle file dei radicali friulani, che cominciò a frequentare assiduamente l’anno successivo, il 1994, quando gli attentati si spostarono con lui nel pordenonese. Il 12 marzo nel capoluogo, il 21 agosto a Sacile, il 17 dicembre ancora a Pordenone e il giorno dopo ad Aviano: in tutte queste occasioni Neòn viene visto nei paraggi, talvolta filmato dalle telecamere a circuito chiuso dei supermercati colpiti. Stessa storia nel 1995. Neòn continua la sua attività politica partecipando a riunioni radicali in coincidenza delle quali avvengono esplosioni nelle stesse località: il 5 marzo ad Azzano X, il 30 settembre e primo ottobre nuovamente a Pordenone. Nell’agosto del 1996, Neòn è in vacanza al mare quando “Unabomber” colpisce a Bibione e Lignano. Per l’opinione pubblica è troppo, l’industria turistica teme la fuga dei tedeschi, la polizia sotto pressione non ha prove ma ha un capro espiatorio: Neòn viene arrestato con grande clamore e condannato in tutta fretta a dieci anni di galera. Per dimostrare la sua innocenza non gli resta che sperare che il vero colpevole colpisca ancora e presto, ma questi se ne guarderà bene, trattenendo il suo implulso dinamitardo per confermare la colpevolezza di Neòn e rimanere impunito mentre si placano le acque e il caso viene archiviato. Ma Tonòn de’ Granzottis non è per niente impressionato. Una tecnica simile era già emersa nel caso del mostro di Firenze e in tanti altri: è tipica delle menti criminali che colgono l’opportunità per fermarsi per un po’, consapevoli di averla fatta franca per un pelo fino a quel momento. Tonòn de’ Granzottis è un raffinato criminologo che non deve affannarsi ad accontentare il popolino con un capro espiatorio. Sa che Neòn è innocente, ma non può provarlo, e invero non ne è neppure ansioso: “uno che guida così” - ragiona Tonòn de’ Granzottis - “tutto sommato è meglio che stia in galera”.

Passati quattro anni, però, nel 2000 Neòn viene rilasciato in libertà provvisoria per buona condotta grazie ad un bravo avvocato, un tale Beppi Lamedica noto anche, per via del suo aspetto luciferino, come l’Ignazio La Russa di Riese Pio X. Tra i due scocca subito una scintilla di amore e odio in una intensa relazione che si estende oltre gli aspetti di consulenza professionale in relazione al caso, per trascinarli entrambi nel vortice passionale della politica. Con Neòn anche Tonòn de’ Granzottis e talvolta perfino il capitano De Stefano partecipano ogni mercoledì alle riunioni di Veneto Liberale nel ristorante “Anita” di Bocca di Strada, ascoltando l’Ignazio La Russa di Trebaseleghe scatenare la sua arte retorica in auliche orazioni che ipnotizzano gli astanti. Ma come se una maledizione lo perseguitasse, al rilascio di Neòn coincide la ripresa degli attentati: il 2 marzo a San Vito al Tagliamento, il 6 luglio ancora a Lignano in piena stagione estiva, il 7 novembre proprio nella sua Portogruaro, e un anno dopo a Motta di Livenza. Tutto sembra puntare ancora contro Neòn, ma Tonòn de’ Granzottis non è per niente convinto. All’indomito segugio del Piave non tornano i conti: se infatti fosse Neòn il colpevole, dovrebbe recarsi nei supermercati oggetto degli attentati il giorno prima per sostituire la merce con i suoi ingannevoli ordigni, ma non il giorno stesso. Neòn invece arriva quasi sempre poco prima o poco dopo l’esplosione e paradossalmente sembra perfino fortunato nel non rimanere ferito egli stesso come vittima, più che come esecutore, considerata la frequenza sistematica nel trovarsi presente o nei paraggi ad ogni esplosione. La polizia brancolando nel buio non cava un ragno dal buco nell’acqua in cui non sa che pesci pigliare, e anche Tonòn de’ Granzottis è piuttosto perplesso: come un supercomputer il suo cervello non si da tregua, ma neppure la sua intelligenza superiore riesce a risolvere il mistero. Giacché è innegabile che, sia pure innocente, ma in tutta la vicenda Neòn deve per forza c’entrare qualcosa.

Pordenone, domenica 1 settembre 2002. Dopo il congresso radicale inter-regionale appena conclusosi all’hotel Moderno, il segretario nazionale Daniele Capezzone e quello provinciale Stefano Santarossa, insieme alle altre undici personalità che rappresentavano la crème del gotha dell’intellighentsia radicale veneto-friulana del tardo ventesimo secolo, erano riuniti nella pizzeria Gambrinus, a pochi passi dal tribunale in cui la procuratrice legale De Rigo aveva a lungo praticato il foro prima di divenire pretore a Conegliano, dove avrebbe fatto sempre la spesa nel negozio di alimentari gestito dalla moglie del capitano De Stefano. Questi l’accompagnava insieme al brigadiere Polesèl, pure lui un fanatico dei radicali e di Capezzone in particolare, davanti al quale, in una delle sue rarissime uscite pubbliche, sedeva a capotavola come una matrona la sessuologa ebreo-cattolica Rhoda Pellizzi, pasionaria anti-abortista dei consultori Aied friulani negli anni 70-80. Tra i due sedevano la di questa figlia primogenita avuta in Moldavia, l’affascinante dirigente radicale Antonella Spolaor, detta la Sarah Jessica Parker di Roveredo in Piano, accompagnata dall’influente editore “di area” Mauro Suttora, meglio noto come il Rupert Everett di Gorgonzola. E a dimostrazione che il settore dei media era saldamente in pugno a via di Torre Argentina, spiccavano il tycoon televisivo Gigi Di Meo, insieme al magnate australiano dei media John Fischetti, crudelmente soprannominato dai suoi invidiosi detrattori l’emendamento a rotelle per le mozioni d’ordine con cui sapeva abilmente ribaltare gli esiti dei congressi di partito. E c’erano naturalmente Neòn, Tonòn de’ Granzottis e Lamedica, lanciato ad arringare la platea col suo erudito eloquio da Ignazio La Russa di Campodarsego:

- Quello che abbiamo in Italia è un solo partito con due nomi: democristiani di centro-destra e democristiani di centro-sinistra, entrambi controllati dagli ammuffiti conglomerati bancario-industrial-sindacali che oliano il processo politico e offrono agli elettori la scelta tra due leader che sono uguali in tutto e per tutto tranne che per differenze cosmetiche!

Furono proprio i tuoni e fulmini di Lamedica, l’Ignazio La Russa di San Martino di Lupari, a far scattare una scintilla nella mente vulcanica del detective boccadistrano, mentre la conversazione si sviluppava amabilmente. Ad un cenno convenuto di Capezzone, la Spolaor si rivolse a Suttora, seduto alla sua destra, lasciandogli indovinare il capezzolo sinistro nella camicetta sbottonata:

- e dimmi, Mauro, tesoruccio, intendi dare ampio risalto a questo congresso?

- Sto pensando di dedicargli un numero speciale di Tette, ahehm, Sette, il supplemento del Corriere della sega, ahehm, della sera, con una grossa erezione, ahehm, edizione di un milione di copie - lasciò trapelare con noncuranza il padrone di via Rizzoli.

- E dimmi John, amoruccio, voi di News Corp? - si volse Spolaor verso Fischetti alla sua sinistra, lasciandogli intravvedere il capezzolo destro nella sempre più ampia scollatura.

- Noi lo speciale lo facciamo del Sun, tre milioni e mezzo di copie - Fischetti distolse lo sguardo dal capezzolo per spiare l’invidia di Suttora - in omaggio col Times, e apriamo anche un nuovo canale via satellite, Sky Telezzone, con Capezzone in diretta 24 ore su 24, comprese le quattro che dorme.

Fingendo di voler farsi accendere una sigaretta, con calcolata lascivia la Spolaor si sporse allora verso Di Meo, davanti a lei dall’altra parte del tavolo, sventolandogli sotto il naso il capezzolo centrale:

- E voi di TelePornoEden, Gigetto adorato?

- Registriamo mezzo minuto con Santaross...

- Santarossa non è mio parente e tantomeno mio genero! Io non lo conosco, qui nessuno è mio parente, voi non siete più miei parenti! Mauro, bel maschione, lo sai che la mia Antonella qui presente è ancora illibata? Non ci far caso alle voci che è sposata, non è vero, io non ho più parenti, e poi che te ne frega anche se è sposata, sarai mica diventato moralista? Tieni qui le chiavi della baita a Madonna di Campiglio, andate a divertirvi ragazzi, sù dai, che ai contraccettivi ci penso io

Rhoda Pellizzi stava animando la serata, ma Tonòn de’ Granzottis rimaneva pensieroso, studiando i convenuti e rimuginando sul caso. Piano piano, con una sensazione di angoscia crescente, i tasselli del mosaico si ricomponevano nella sua materia grigia di elevato peso specifico, e ad un tratto il quadro gli fu spaventosamente chiaro. Unabomber era proprio lì, quella sera e a quel tavolo, una o uno dei dodici altri commensali, otto escludendo Neòn e i carabinieri col pretore. Ora tutto combaciava perfettamente, aveva solo bisogno della controprova, ma lì per lì non disse niente a De Stefano. Attese invece la fine della cena, il brindisi a Capezzone, e uscì per ultimo prendendo senza farsi vedere un bicchiere rimasto sul tavolo, il bicchiere usato dall’insospettabile ma sospettosa persona che sospettava. Come sappiamo, il mattino del giorno seguente portò il bicchiere a De Stefano, e contemporaneamente Unabomber colpì al Mercatone Emmezeta di Pordenone.

Conegliano, 3 settembre 2002. La foschia ritardava a rintanarsi nelle piccole valli tra le dolci colline del coneglianese, sfumando i contorni del castello di Collalto là oltre la scuola di enologia fuori dalla finestra dell’ufficio del capitano De Stefano, sul cui umore quelle languide mattinate di mezza stagione producevano l’effetto di una struggente malinconia e lo inducevano a meditare sulla vacuità della natura umana.

- Eh sì, caro Roberto, così è la vita. Essere o non essere?, scriveva Shakespeare, essere o avere?, gli replicava Fromm, che da buon ebreo rispondeva sempre con una domanda. E io qui ed oggi ti dico, caro Roberto: avere o non essere? Interisti o milanisti? Democratici o nonviolenti? Bisessuali o transessuali?

Con una mano grattandosi il pizzetto ingrigito, il capitano posò l’altra sulla spalla dell’amico seduto al centro della stanza, nella spasmodica ma contenuta attesa di Polesèl coi risultati del laboratorio. Neanche la mente più maliziosa avrebbe potuto vedere in quel gesto niente di più che una mutua forma di conforto contro la solitudine dell’individuo nell’universo. Non sempre Tonòn de’ Granzottis capiva di cosa De Stefano gli parlasse in quei suoi cronici momenti di abbandono alla filosofite maniaco-depressiva. Il capitano possedeva l’intelligenza riflessiva del consumato giocatore di scacchi, deformata per di più da un’esperienza professionale che lo aveva portato a vederne di tutti i colori. Il detective Tonòn de’ Granzottis era invece più dotato dell’intelligenza dinamica dell’uomo d’azione. Così come la mano del capitano era posata sulla spalla di Tonòn de’ Granzottis, sulla spalla del capitano venne a posarsi un piccione entrato dalla finestra, proprio sulla mostrina di quella divisa che incuteva timore agli uomini ma non all’innocente uccelletto, rassicurato dal percepirvi battere sotto il cuore di un contemporaneo San Francesco.

- Porcodd!.. - inveì De Stefano riavendosi improvvisamente dalla meditazione nel tentativo di agguantare l’irrispettoso volatile che gli aveva scacazzato  sulla giacca nera una sbrodolata di guano in biancastro contrasto. Non era dunque un piccione qualsiasi: si trattava più probabilmente di un riuscito travestimento del dispettoso tenente Colombo.

Polesèl entrò con i risultati del laboratorio. Li lessero insieme in silenzio. Purtroppo sancivano la correttezza della teoria granzottiana. Lo Sherlock Holmes di Bocca di Strada aveva risolto un altro caso, il più difficile, ma questa volta non ne era per niente contento. De Stefano comprese la sua amarezza e lo congratulò senza eccessi di gioia.

- E così Neòn era davvero la vittima...

- Sì. Era facile prevedere i suoi spostamenti perché le assemblee erano pubbliche. Quindi bastava piantare le bombette nei supermercati delle località dove Neòn si sarebbe recato, per aumentare la probabilità che esplodessero nelle mani dell’Armando

- Un metodo un po’ contorto per eliminarlo...

- Maldestro - rispose l’enciclopedico Tonòn de’ Granzottis lasciando intendere con nonchalance la sua familiarità con l’esperanto – e quindi sinistro

- Perciò si diede tanto da fare per ottenerne la scarcerazione?

- Già, finché era dentro non poteva farlo fuori

Non restava che procedere alla mesta incombenza dell’arresto. Sul sedile posteriore dell’Alfa guidata da Polesèl, fu Tonòn de’ Granzottis a rompere il silenzio sulla domanda che aleggiava nell’aria: il movente, il perché.

- Ho una mia teoria: i suoi film pornografici. Guardandoli, non c’è maschio che non si senta umiliato dalle dimensioni del pene di Neòn, perfino io che sono superdotato

- È davvero così spaventoso? - indagò il capitano

- Una rarissima, patologica combinazione di lunghezza equina e diametro elefantiaco. Ti basti pensare che perfino Cicciolina si è sempre rifiutata di girare film porno con lui

Varcando il ponte sul Piave si trovarono fuori dalla giurisdizione della pretura coneglianese, con parziale sollievo del capitano che avrebbe così risparmiato una brutta grana al pretore De Rigo, la quale se ne sarebbe dimostrata grata nel modo che sappiamo. Giunti sul posto, Polesèl parcheggiò in una stradina laterale e si rivolse al superiore con una mano eloquentemente posata ad accarezzare la fondina:

- Capità, vulite che venco angh’io?


- Non occorre, Polesèl, sono certo che il reo non opporrà resistenza

E non ci fu neppure bisogno di dire alcunché, quando questi aprì la porta di casa: dalle facce da funerale dei due vecchi amici, espressioni che trasudavano pena, incredulità e delusione, l’Ignazio La Russa di Carità di Villorba intuì che era tutto finito.