Sabato. Sport e tempo libero

Per capire la politica locale di Bocca di Strada occorre contestualizzarla in quella del Veneto, dove le elezioni regionali del 2015 hanno visto vincere Luca Zaia perché è ancora più brutto di Flavio Tosi. È tutta una questione psico-estetica: non ti puoi aspettare che gran parte dell’elettorato femminile voti una donna più attraente (Moretti del Pd). Viene intimamente percepita come potenziale concorrenza amorosa. Viceversa, Zaia e Tosi sono talmente brutti da non paventare alcun pericolo, neppure a livello inconscio, per le relazioni sentimentali (né l’autostima) degli elettori di ambo i sessi. Notare, a riprova, che il candidato 5 stelle Jacopo Berti ha perso proprio perché è un bel giovanotto: per poter competere nell’elettorato maschile eterosessuale avrebbe dovuto sfigurarsi con l’acido, e in quello femminile la Moretti a nasate contro un muro. Che non sarebbe una cattiva idea. Eppure il Pd rigurgita di carampane da poter candidare. È un grande partito politico e ne dispongono a bizzeffe, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Invece hanno candidato proprio una dall’aspetto vagamente gradevole. Si obietterà a questa mia teoria estetico-politica che invece sindaco di Venezia sia stato eletto Brugnaro e non Casson, che oggettivamente è appena un pelino più brutto e dunque avrebbe dovuto vincere lui, sia pure di misura. Eccezione che conferma la regola per cui Venezia non è il Veneto bensì funziona spesso a modo suo. A proposito di Brugnaro, al momento di andare in stampa si prevede acqua alta in laguna, 130 cm in San Marco, perché dal giorno della sua elezione il neo-sindaco continua senza sosta a pisciarsi addosso dall’emozione per la visita di Michelle Obama. Ragion per cui torniamo all’asciutto del Pd.

Infatti un altro Flavio politico veneto che merita attenzione è l’ex sindaco di Padova, Zanonato. All’epoca il ministro dello sviluppo economico aveva letto sul sito israele.net (portale su Israele in italiano) un articolo che spiega come la sinagoga italiana di Gerusalemme fosse in origine quella di Conegliano, caduta in disuso e smontata per essere ricostruita nella capitale ebraica. L'articolo informa che Conegliano è “una piccola città situata tra Padova e Venezia”, e questa simpatica bestialità geografica ha fatto scintillare in Zanonato l'idea più rivoluzionaria mai sentita a proposito di sviluppo economico: scambiare di posto le città italiane per dare uno scossone al Paese "rimescolando le carte", come disse lo stesso ministro illustrando il piano in conferenza stampa a Montecitorio.

Il programma prevedeva di cominciare subito col primo scambio sperimentale, tra Milano e Portofino. Il capoluogo lombardo, col suo immenso hinterland settentrionale, viene roteato di 180 gradi e spostato davanti a Rapallo, dove c'è un mare di spazio. Circa la ricaduta economica, basti pensare all'effetto di unire Genova e Milano in una sola metropoli, una nuova Hong Kong con quattro aeroporti; mentre le province lombarde ex-settentrionali, ora meridionali (Varese, Como, Lecco), il cui sviluppo era fisicamente limitato dal confine extracomunitario svizzero potranno lanciare la loro espansione nel Tirreno, conquistando i mercati di Corsica ed Elba.

Quanto a Portofino, così piccolo che potrebbe essere contenuto in piazza del Duomo, della quale infatti prese il posto, continuò a stare sull'acqua, anzi divenne addirittura un'isola nell'enorme bacino formatosi dal confluire dei laghi di Como, Lugano e Maggiore, nonché fiumi come Adda e Ticino, in conseguenza del vuoto creatosi con lo spostamento dell'area metropolitana milanese dalla pianura in mare. Portofino era come sempre affollata. Il piano infatti era sperimentale nel senso che all’epoca del governo Letta vennero spostate solo le cose materiali (edifici, strade, merci comprese le derrate alimentari, mezzi pubblici, locali pubblici, personaggi pubblici, fognature...) ma non gli abitanti (né i loro animali domestici). Anche per non generare ingiustificato allarme nella popolazione, ognuno era rimasto alle stesse longitudine e latitudine di prima, conducendo la sua vita "normale", almeno per quanto lo potesse essere per cinque milioni di persone vivere in 2,5 km quadrati che prima ne ospitavano stabilmente non più di 500, come dire diecimila individui dove prima ce n’era uno. Uno sopra l'altro? In un certo senso sì: ulteriore motore di sviluppo economico fu la necessaria verticalizzazione della nuova Portofino, con grattacieli alti fino a un chilometro nel bel mezzo del Lago Padano, esteso a sud fino al Po.

I portofinesi, da parte loro, godevano di una Milano tutta per loro come se in città fosse agosto tutto l'anno, anche per il notevole miglioramento del clima, ora nettamente mediterraneo. I pochi abitanti avevano un'ampia scelta di palazzi signorili ove stabilirsi, e di mestiere potevano dirigere una quantità di grandi aziende, comprese le maggiori banche, potendo così elargirsi reciprocamente lauti compensi e benefit. Insomma furono creati dal nulla 500 nuovi benestanti che prima facevano il pescatore o il cameriere ecuadoriano, e costoro godevano tra le tante altre cose di un numero di stazioni ferroviarie sufficiente a servire singolarmente i loro discendenti per generazioni.

La seconda fase del progetto fu ancora più ambiziosa, in quanto consisteva nello spostare anche gli abitanti insieme alle rispettive città, una intuizione che molti esperti valutarono come più vantaggiosa. L'ex sindaco di Padova non poteva dimenticare le sue origini, o non voleva dare l'impressione, una volta ministrizzatosi, di essersi anche romanizzatosi. Zanonato pianificò personalmente lo scambio di collocazione geografica tra Roma e il triangolo veneto Padova-Treviso-Venezia. Interessante notare come a questo punto entrambe le principali città italiane si trovino al nord: Milano conurbata con Genova sul Tirreno, e Roma affacciata sulla laguna adriatica ancora più a nord. Roma a nord di Milano?!? È insorta inorridita la Lega nord. Ma Zanonato non si lascia intimidire ed esorta i suoi conterranei, ora conterroni veneti, ad imparare che il mare a Sabaudia è meglio di Iesolo, anche se in montagna bisogna accontentarsi degli Appennini al posto delle Alpi (per adesso il piano del governo contempla lo spostamento di centri urbani ma non ancora dei rilievi orografici), e che se li prende la nostalgia del prosecco, si anestetizzino affogandola nel Marino.

La terza fase del progetto è stata il parto più laborioso. Zanonato si è chiesto a lungo che cosa farne, dove minchia spostare Napoli e la sua spazzatura senza suscitare proteste. Certamente non al nord... Invece sì!, poiché al ministro è venuta la soluzione per la terza metropoli dopo che aveva quasi rinunciato, ma semplicemente passando alla quarta vi ha trovato la soluzione: Napoli al posto di Torino e viceversa. Brillante, centinaia di migliaia di emigrati contentissimi di tornare sotto il sole, per di più godendo al pensiero dei parenti finalmente loro all’umido, e per contro altrettanti juventini intimiditi dagli umori del Vesuvio.  A questo punto Zanonato aveva trovato la chiave per il successo del piano: non occorreva rompersi la testa con stravaganti abbinamenti (come il flop dell'esperimento Milano-Portofino avrebbe dimostrato negli anni), sarebbe stato più semplice procedere in modo razionale scambiando tra loro città di dimensioni simili. Bologna e Firenze (non se ne accorgerà nessuno); Bari e Palermo (men che meno); per concludere il rimescolamento con lo scambio più delicato, lasciato per ultimo in modo da acquisire esperienza nelle fasi precedenti, la sfida che avrebbe coronato la gigantesca operazione: Brescia e Catania.

L'opposizione leghista, che sul Po si era già vista appioppare Roma e Napoli al posto di Venezia e Torino, alla prospettiva di metterci proprio a metà strada pure Catania ha minacciato di portare le armi in Parlamento. Il governatore lombardo Maroni, in escandescenze, si chiude in un gabinetto della regione imitando davanti a uno specchio Crozza che imita Maroni che da in escandescenze. Incredibilmente Zanonato riesce a venire a capo di una situazione tanto spinosa con l'uovo di Colombo della metropolitana. Infatti in un episodio della popolare serie televisiva l'ineffabile tenente del dipartimento di polizia di Los Angeles viaggia in metropolitana con un uovo in mano quando gli viene l'illuminazione per risolvere un caso. Il ministro Zanonato si ricorda di quell'episodio, e per contorte associazioni di idee ne ricava l'insegnamento - da lì divenuto standard mondiale come Uovo di Zanonato -, che il problema si risolve collegando le ferrovie metropolitane delle due città, dove le due linee di metrò esistenti diverranno i terminali di un tratto da Brescia, in Sicilia, a Catania, in Padania, con soste alle principali stazioni della rete ferroviaria già esistente. Mille miglia che ne faranno la metropolitana più lunga del mondo. Questo per consentire a bresciani e catanesi di recarsi a visitare amici e parenti nei dintorni delle proprie città, dintorni rimasti nelle rispettive regioni di origine.

A margine della conferenza stampa Zanonato si è intrattenuto con i giornalisti in un sobrio buffet, durante il quale è tornato a sottolineare i vantaggi in termini occupazionali portati dallo smontaggio, movimentazione e ricostruzione di miliardi di metri cubi di dodici delle 13 maggiori città italiane più Portofino. Un'operazione del valore di altrettanti miliardi di metri cubi di euro e che ha comportato la migrazione di circa 17 milioni di italiani, con un saldo finale attivo per il nord di 1-2 milioni a spese del centro-sud. Un'osservazione critica, questa, sulla quale Zanonato non si è fatto cogliere impreparato, replicando che esistono milioni di persone, a sud del mediterraneo, pronte a ripopolare l'Italia meridionale.

Dopo che Renzi ha fatto fuori Zanonato, e scongiurato così una inversione-gemellaggio tra Bocca di Strada e Casal di Principe, non sono rimasti ministri veneti al governo, tranne Beatrice Lorenzin che non è veneta ma almeno il cognome suona veneto.

Alla notizia della sua prima nomina nel governo Letta gli ignoranti si sono chiesti che cosa ci azzeccasse col ministero della salute, senza sapere che Beatrice Lorenzin addirittura ci nacque dentro, il 14 ottobre 1971. Per tale colpa l'allora ministro socialista Luigi Mariotti (del primo e unico governo Colombo) fu presto sostituito da Athos Valsecchi del primo governo Andreotti e una sfilza di altri peccatori democristiani: tra le mura del civico numero 5 di viale Ribotta, sede dell'importante dicastero che allora si chiamava della Sanità, la bimba crebbe facendosi le ossa col secondo Andreotti (ministro della sanità il gentiluomo Remo Gaspari); i quarto e quinto governo Rumor (ministri della sanità i gentiluomini Luigi Gui e Vittorino Colombo); nonché i quarto e quinto governo Moro coi gentiluomini Antonino Gulli e Luciano Dal Falco, col quale all'interno dello stesso edificio passò dall'asilo alle elementari nel terzo governo Andreotti, e Tina Anselmi nel quarto e quinto.

Molti furono gli augusti gentiluomini come Tina Anselmi che partorirono, svezzarono e accudirono Beatrice Lorenzin, tra i quali l'Altissimo Renato del Pli. Aldo Aniasi del Psi si alternò all’Altissimo nei governi Cossiga, Forlani e Spadolini, più un quinto e penultimo Fanfani. Dopo un triennio del democristiano veneto Costante Degan (che tutto sommato come democristiano veneto non fu tra i peggiori), ebbene dopo tanta istruzione superiore Beatrice Lorenzin si avvia a quella accademica grazie a Carlo Donat-Cattin, un mito. Con un altro triennio di un democristiano per eccellenza quale Donat-Cattin, ministro della sanità che esordisce col Craxi 2 per passare senza fare una piega all'ultimo Fanfani e poi al breve Goria (poraccio, un democristiano giovane in gamba, forse proprio perciò doveva morire prematuro) fino all'incomprensibile De Mita, dentro al numero 5 di via Ribotta Beatrice Lorenzin diventa maggiorenne acquisendo una maturità che la porterà a vivere gli anni universitari con De Lorenzo, che si districa tra il sesto e settimo Andreotti più il primo Amato.

Molto interessante osservare, per la giovane Beatrice, come i governi si succedano alla media di uno ogni otto mesi, ma le rispettive poltrone della Sanità tengano duro attraverso diversi governi per almeno due o tre anni. Una lezione di vita. A un certo punto al piano alto arriva Rosy Bindi, con la quale conseguirà il master in democristianeria. In linea con la tradizione democristiana originale, i post-comunisti democristiani del primo governo Prodi scelgono una democristiana che proseguirà le sue inadeguatezze anche con due governi D'Alema, finché arriva un secondo governo Amato con un ministro finalmente competente: Umberto Veronesi. Ma il sollievo dei pazienti dura poco. Coi governi Berlusconi arrivano alla Sanità il disastro Sirchia e addirittura Storace. Poi temporaneamente Livia Turco che però non lascia il segno e dopo un altro paio di individui ininfluenti adesso finalmente è il turno della nostra Lorenzin, tutt'altro che impreparata come dicono i suoi detrattori impreparati: avendo ella vissuto lì dentro per oltre quarant'anni, li ha visti tutti e nessuno è più qualificato di lei per battere i loro record di sopravvivenza in questo ministero.

Quanto a me, quando fui costretto mio malgrado a rientrare in politica, lo feci soltanto per Alice. Io di mio avevo già dato un quarto di secolo in una vita precedente e ne avevo avuto una zuppa. Ma era il suo sogno: da grande non voleva fare l’astrosamantha come tutte le altre brave bambine, bensì diventare come la sua eroina Emma Bonino. Conosco Emma, con il suo bel caratterino, e la prospettiva di ritrovarmi sposato a un suo giovane clone m’inquietava non poco, per cui per prima cosa le parlai della Bonino in termini diffamatori.

La ex ministra per l'integrazione Cécile Kyenge - che arrivata dal Congo nel 1983 lavorò come badante per mantenersi agli studi di italiano -, fu scelta apposta per farle appunto da badante, con la scusa che sono alte uguali ("per non sfigurare nelle foto" aveva giocato Letta sulla loro vanità) sedendole accanto nelle riunioni a Palazzo Chigi con siringa di sedativi pronta per l'uso nella borsetta e badando bene soprattutto che Emma Bonino, se colta da uno dei suoi raptus, non compisse una strage in consiglio dei ministri, uno dei tanti, molteplici omicidi gratuiti che ne hanno costellato la carriera politica. Di questo suo terribile segreto erano a conoscenza alcuni colleghi ministri, tra i quali ovviamente il capo del governo Letta, il suo vice Alfano, e i veterani della politica più usi ai consunti corridoi del potere dove aleggia da tempo l'inquietante sospetto, o inconfessabile certezza, sulla pasionaria radicale che il popolo conosce invece come persona buona e giusta, battagliera attivista per i diritti umani e civili specialmente (ma non solo) delle donne, statista preparata e competente. Con due soli difetti: uno piccolo di pronuncia (la Z al posto della S, anche in ingleze) e uno un po' più grave: la maniacale compulsione all'omicidio plurimo aggravato. Pulsione irrefrenabile e purtroppo assai frequente.

Fine gennaio 1995. Appena nominata commissaria europea, Bonino si reca in visita ufficiale in Bulgaria, dove una delegazione di 40 parlamentari la porta nella cittadina mineraria di Zlatograd. I bulgari viaggiano in pullman e la Bonino in un'auto blu della Commissione. Il gruppo scende in montacarichi nel pozzo per incontrare i minatori in sciopero della fame da settimane per migliori condizioni di sicurezza sul lavoro, speranzosi che la Bonino sbrogli la situazione, ma lei riemerge dopo appena due minuti, armata di kalashnikov prende in ostaggio l'autista del bus e lo costringe ad allontanarsi in fretta. Pochi secondi dopo l'esplosione, un boato assordante. Sepolti a centinaia di metri di profondità muoiono quaranta deputati di tutti i partiti e un numero imprecisato di minatori. Stando alle ricostruzioni, la Bonino poi farà secco anche l'autista e occulterà l'arma prima di ripresentarsi nella capitale Sofia simulando uno stato confusionale dovuto allo choc, ed evitando così troppe domande anche grazie al suo status di importante ospite proveniente da Bruxelles, dove rientrerà in silenzio lasciando la Bulgaria nel doppio lutto.

Lutto doppio perché quello stesso giorno un altro pullman a noleggio della stessa compagnia privata precipita in un burrone per un guasto ai freni, causando la morte di tutti gli occupanti, una cinquantina di boy scout in gita in montagna. Era il pullman previsto in origine per i deputati, sabotato da qualcuno che voleva ucciderli, ma fu sostituito all'ultimo momento con un altro veicolo.

“Sospettavamo di Bonino da molto tempo, ma lavorava solo in Italia e lasciammo che fossero gli italiani ad occuparsene, se lo ritenevano. Quando però negli anni 80 la sua attività si fece europea e nei 90 globale, diedi ordine di sorvegliarla. I nostri agenti riportarono che Bonino segò personalmente i condotti dell'olio dei freni del bus che pensava avrebbe trasportato i deputati, e una volta visto fallire questo primo tentativo, con prontezza di spirito colse l'occasione degli esplosivi lasciati incustoditi in miniera, nascosti in uno zaino li portò con sé in fondo al pozzo insieme ai deputati, li innescò e si dileguò velocemente da sola con l’unico montacarichi”. Queste le rivelazioni di un’anonima fonte della Cia. L'ex alto funzionario americano conferma anche l'omicidio dell'autista del bus: "tutto visto coi propri occhi dall'autista dell'auto blu, che era un nostro agente infiltrato nella sede locale della Commissione europea”...

Ma la duplice strage bulgara impallidisce per crudezza dinanzi allo sterminio di intere tribù e decine di gorilla in estinzione meticolosamente pianificato ed attuato dalla Bonino nel Congo meridionale durante la missione "umanitaria" del 2008 insieme a un inconsapevole Prodi, del cui secondo governo era ministro. L'aereo della Bonino sorvola il Katanga spuzzandolo ampiamente con quintali di antrace e botulino sparsi dal vento su tutta la regione con effetti devastanti. "Le vittime sono decine di migliaia e l'ecosistema irrimediabilmente compromesso insieme alla catena alimentare", scrisse all'epoca su Entomologia oggi uno scienziato di Bocca di Strada che viveva sul posto, Elvio Tonòn de’ Foltràn, dell'immane catastrofe che fu messa a tacere dalle autorità congolesi. Ma un testimone oculare, un casco blu dell'Onu che volle rimanere anonimo si disse certo di avere riconosciuto la Bonino ai comandi del biplano agricolo, e fonti mai smentite attribuiscono alla sua amica giornalista Chistiane Amanpour della Cnn una frase inquietante che si sarebbe lasciata sfuggire subito dopo avere appreso dei fatti: "She did it again. Ha ripetuto quello che fece nel 1997 in Afghanistan col napalm".

A questo punto per almeno un paio di volte i suoi compagni di partito avrebbero cercato di farla disintossicare dalla dipendenza omicida in una clinica sulle colline tra Cuneo e Bra, sua terra di origine, ma senza successo. Sbagliata la terapia, in mezzo ad alcolisti, cocainomani e ludopatici mentre il suo problema è alquanto diverso, per certi aspetti più grave... e sbagliato il luogo, quelle campagne dove già in tenera età seviziava gli animali e da adolescente inquieta plagiò una coetanea sua complice (che poi si fece monaca col voto del silenzio) nello stuprare, torturare, uccidere e sezionare numerosi compagni di scuola. Basta leggere gli articoli di Draire e Fogliani sul Braidese, il giornale di Bra da essi fondato nel 1964, o solo alcuni dei titoli raccapriccianti di quell'anno infausto:

UN ALTRO SCOLARO UCCISO
Il corpicino rinvenuto è quello del fanciullo scomparso (8 marzo)

IL MOSTRO DI POLLENZO COLPISCE ANCORA
La vittima mutilata dei genitali (28 aprile)

QUINTA VITTIMA DEL PEDOFILO ASSASSINO
Gli inquirenti braidesi brancolano nel buio (15 agosto)

NATALE DI SANGUE PER DUE GEMELLINI
Lo strazio dei genitori in lacrime (27 dicembre)

e così via anche nei due anni successivi, per un totale di vittime che cancellò un'intera generazione di giovanissimi braidesi. Poi improvvisamente più niente, le violenze cessarono e i casi non furono mai risolti. Si ipotizzò che "il mostro" potesse essere stato un militare di stanza in una delle tante caserme della zona e che fosse stato trasferito, ma qualcuno fa notare che a trasferirsi fu proprio la Bonino, a Milano per studiare alla Bocconi.

Il resto è storia nota: non appena laureata si dedica agli aborti, così sottraendo al Paese miliardi di bambini mai nati, fino alla più recente battaglia per l'eutanasia, che l'ha vista protagonista nell'eliminare fisicamente ben tre senatori a vita soltanto nel 2012: Scalfaro, Pininfarina e niente meno che Rita Levi Montalcini, stroncati prematuramente a 93, 85 e 103 anni, tutti con iniezioni letali di sostanze che non lasciano tracce. Andreotti invece è deceduto per conto suo nell'apprenderne la nomina a ministro degli esteri. Come dire che la Bonino è coinvolta perfino nel trapasso del Diavolo.

Mi rendo conto che questo capitolo della Guida turistica è stato di una noia mortale, per cui nel prossimo torniamo a Bocca di Strada.